UN BALLO IN MASCHERA

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19 agosto 2019

Osservatorio Il Sistema Elettorale

UN BALLO IN MASCHERA

C’é da scomodare Giuseppe Verdi per tentare di spiegare quello che sta succedendo dentro i palazzi romani della politica dopo lo strappo pescarese della Lega. Coloro che conoscono questa magnifica opera del Maestro non avranno difficoltà a trovare similitudini con la situazione invereconda che i parlamentari tutti stanno costruendo intorno alla crisi di governo. I fetori nauseabondi che ne fuoriescono diventano di giorno in giorno sempre più insopportabili tanto da far passare in secondo piano l’afa che attanaglia la gran parte della penisola. Il secondo atto, con il monologo di Amelia, “Ecco l’orrido campo”, svolgendosi dentro un cimitero e descrivendo in modo impareggiabile le bugie, i tradimenti e le congiure, potrebbe essere traslato pari pari nelle aule del nostro parlamento.

Il Primo Ministro, con il discorso pronunziato appena qualche minuto dopo l’annuncio di Salvini, ha dato il via a questa messa in scena che, purtroppo, ha tutta l’aria di protrarsi ben oltre la fissazione della data per le nuove elezioni e la conseguente campagna elettorale. Le sue parole, impregnate di rabbia, livore, risentimento sono sembrate quelle di un bambino a cui é stato tolto il giocattolo preferito, insomma talmente fuori posto da renderlo ridicolo agli occhi di chi ascoltava. Giuseppe Conte, più saggiamente, avrebbe dovuto prendere atto della caduta del Governo e rassegnare le dimissioni un minuto dopo che il Parlamento era stato costretto a pronunziarsi sulla grottesca richiesta del M5S diretta a interrompere i lavori del TAV. E, contestualmente, come se nulla stesse accadendo, dismessa la maschera di Presidente del Consiglio ha immediatamente indossato quella di verosimile candidato premier del M5S, dimenticando che proprio il M5S era stato il partito della coalizione a provocare l’incidente in quanto a conoscenza del fatto che egli avesse già inviato già da qualche settimana il suo benestare agli organi europei per la realizzazione dell’opera .

Non é più una ipotesi quella secondo cui il Vice Primo Ministro Di Maio, ormai a corto di argomenti in grado di arginare l’invadenza di Salvini e salvare la pelle, la sua e quella del partito, ha escogitato la trappola parlamentare perfetta attraverso la quale fornire alla Lega il pretesto per rompere l’alleanza per poi accusarla di averla infranta. Giochini di chi é abituato a vivere di espedienti nella speranza che l’ingenuità e le scarse conoscenze degli elettori facciano il resto. Cio’, pero’, che disgusta di più é che per rimanere attaccato alla poltrona e alle immeritate prebende accusa gli pseudo alleati di non volere il taglio dei parlamentari ben sapendo che non si tratterebbe di un provvedimento di alto profilo istituzionale bensì di un colpo di bassa demagogia. Egli confida sul fatto che non tutti sanno che la legge deve essere approvata con maggioranza qualificata (che non c’é) o, in caso non si dovesse raggiungere il quorum, dovrebbe essere sottoposta a referendum confermativo, così come reca l’art 138 della Costituzione. Poi c’é un altro aspetto, all’origine tecnico ma con risvolti inerenti l’intero sistema democratico, sul quale conviene soffermarsi e sul quale, se non chiedo troppo, Di Maio dovrebbe riflettere : l’attuale legge elettorale é per un terzo maggioritaria, con deputati e senatori eletti direttamente dagli elettori, e per due terzi proporzionale senza preferenze, rendendo impossibile all’elettore di scegliere il candidato. Su queste basi, senza cambiare la legge elettorale, la riduzione dei parlamentari eletti direttamente dal popolo produrrà una ulteriore e inaccettabile contrazione dello spazio democratico,portando il nostro conclamato deficit di regole istituzionali ad un livello ancora più basso. Occorre anche aggiungere che si verificherà un ulteriore distorsione al Senato dove lo sbarramento nazionale del 3% si innalzerà fino al 10-13% per effetto della ripartizione che in quel ramo del parlamento opera su base regionale partendo dalle liste maggiormente votate e, quindi, espellendo, di fatto, tutti i partiti che non dovessero raggiungere quella soglia.

Quanto alla Lega e a Salvini, in particolare, la maschera d’ordinanza indossata al momento della sottoscrizione del famoso contratto e portata disinvoltamente per oltre un anno con annessa nenia che il Governo sarebbe durato 5 anni, é caduta fragorosamente appena si é reso conto che il vicolo cieco in cui s’era infilato sarebbe stata la sua tomba politica. La tracotanza comportamentale e verbale, con relative “bastonature” da teatrino delle marionette, non ha mai lasciato spazio a qualche riflessione equilibrata, a qualche dubbio, a qualche spiraglio attraverso il quale accettare consigli disinteressati, soprattutto in campo economico e nelle relazioni con l’Europa. Il pericolo che corriamo tutti é che l’unione contro natura, cosi come l’ho definita l’anno scorso, avendo lasciato segni indelebili sul suo volto lo obbligherà ad indossarne un’altra. Speriamo non sia quella di Pulcinella.

Nel settore di campo riservato alla sinistra Pd troviamo personaggi a dir poco inquietanti, sempre alla ricerca di una posizione che il Kamasutra non prevede. Questa volta,superata la fase dei contrasti interni tra il Segretario ufficiale (Zingaretti) e quello ombra (Renzi), il partito si é allegramente avviato, probabilmente a sua insaputa, verso la dissoluzione che sarà sancita appena si tornerà al voto.

A Matteo Renzi, detentore della maggioranza dei parlamentari DEM, non é parso vero di poter rimettere la maschera del Primo Ministro che fu e dettare la linea che il povero Zingaretti ha dovuto accettare per non rompere l’unità del partito ma anche per suoi limiti caratteriali. Tralasciando le frasi scurrili ed offensive che il PD ed il M5S si sono vicendevolmente scambiati da due anni a questa parte mi limito a ricordare che appena il 7 luglio 2019 un tronfio Matteo Renzi annunciava ai giornalisti : “Mai. Puo’ dirlo forte, scrivetelo anche in grassetto” che non restero’ in un PD che dovesse stringere accordi con il M5S. Alle parole di Renzi seguivano quelle di Nicola Zingaretti che in maniera reiterata sosteneva in tutte le sedi la necessità di sfiduciare Conte e tornare al voto prima possibile in quanto con i pentastellati non vi era alcuna possibilità di trovare soluzioni condivise. Il teatrino é stato talmente esilarante che alla fine i due si sono anche scambiati le maschere di tal ché oggi non é più possibile riconoscere chi é l’uno e chi é l’altro.

Le ragioni del disgusto e del disprezzo crescenti nei confronti della politica, che poi portano all’astensione, vengono ancora di più ingigantite dal meschino tentativo di imbellettare le loro convenienze con le ragioni nobili dell’alta politica. E questo e francamente troppo. L’unico che sembra voler mantenere una traiettoria chiara é lex ministro Calenda il quale ha testualmente dichiarato che “…….Io questa cosa non l’accettero’ ……. perché il Pd avrà perso ogni credibilità rispetto alle istanze dell’Italia seria, quella che lavora, studia e produce”. Ma anche sulla sua dichiarata ortodossia grava il sospetto che, sotto sotto, voglia mettere le mani avanti per raccogliere i frutti di una eventuale frantumazione dei DEM.

Nell’altra parte di campo occupata da cio’ che resta di quello che una volta era il centro destra si contano solo morti e feriti oltre ai fuggitivi che cercano riparo dentro fortezze in formazione. Coloro che resistono, pur molto pratici di maschere e affini, sono relegati a svolgere un ruolo secondario; continuando a cavalcare la metafora verdiana possiamo dire che non partecipano al ballo ma fanno solo tappezzeria e rimangono a coltivare la speranza di un voto che per diverse ragioni non arriverà mai o, meglio, non sarà concesso nei tempi sperati. La prima causa é palese e risiede nel fatto che la somma dei numeri PD e M5S é più coerente dei protagonisti politici che ora, a dispetto dei loro comportamenti pregressi, sono disposti ad unirsi per governare il Paese sebbene siano in disaccordo su tutto tranne sul fatto di voler dare una lezione alla Lega. Non mi sembra un bel programma. La seconda causa chiama in ballo il Presidente della Repubblica, l’arbitro assoluto che dovrà risolvere questo gigantesco pasticcio che egli stesso ha contribuito a creare dando il via dopo tre mesi di follia collettiva al governo ircocervo giallo-verde. E’ vero, sul cammino del Presidente ci sono due grossi macigni : la legge elettorale e la Costituzione la cui modifica Civiltà Italiana ha più volte invano sollecitato, sostenendo che i tempi non sono più quelli del dopoguerra e che il deficit di democrazia va superato dando la possibilità ai cittadini di scegliere i propri candidati in un sistema maggioritario puro. Tuttavia mi auguro che egli questa volta non ripeta l’errore del 2018, metta da parte le sue simpatie,valuti attentamente il sentimento popolare e non si fermi alla sterile somma dei numeri perché l’esercizio del voto rimane sempre la più alta espressione di un sistema democratico, specie quando i protagonisti di questo “Ballo in Maschera” hanno dato ampie e ripetute prove di cialtroneria.

Mario Travaglini

19/08/2019