La “buona” SCUOLA

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29 dicembre 2014

Osservatorio Scuola e Pubblica Amministrazione

Mi sento di approvare lo slogan che campeggia sulla pagina la buona SCUOLA (labuonascuola.gov.it/) del Governo Renzi;

Vogliamo ascoltare tutti, perché qui non c’è un “noi” e un “voi”. C’è solo la nostra scuola, ma attribuisco alla consultazione via web carattere alquanto demagogico se visto in chiave di una seria proposta di Riforma. Credo infatti che, conclusa la consultazione, a prevalere sarà un “io”, perché, ciascun “consultato” sosterrà di aver indicato la “sua”via maestra e se questa via non troverà spazio nel progetto del Ministro sarà pronto a scatenare il caos mediatico. Voglio dire che chiuso un web se ne aprirà un altro sui vari social network, alla conquista del “mi piace” che, per quel tipo di consultazione, rappresenta il massimo del consenso.

D’altra parte , nel documento, riscontro una chiarezza e una sinteticità di informazione sullo stato dell’arte nel mondo della scuola , che rispetto al passato risulta più puntuale. Ora il governo è chiamato a decidere, per dare ai futuri insegnanti il ruolo dignitoso che meritano e far navigare in acque più sicure la navicella della Scuola. Intanto i “Soloni” che sono a capo dei sindacati, al fine di mantenere il pacchetto di deleghe che li fa qualificare “più rappresentativi”, ma che tali non sono, seguitano a contestare le indicazioni di carattere generale del progetto sulla buona scuola e puntano a “risolvere” il problema con le armi, vecchie e spuntate di sessantottina memoria, contestando “il riconoscimento del merito” per gli avanzamenti di carriera del personale di ruolo. D’altro canto i vari “Comitati” (di base e non), che nel loro insieme rappresentano un numero di docenti nettamente maggiore, nati quasi sempre per attivare contenziosi finalizzati ad garantire equità per i precari, non si accontentano di aver raggiunto il risultato della stabilità di chi per anni ha permesso alla scuola di “tirare avanti” e chiedono l’accesso alle posizioni stipendiali più vantaggiose sulla scorta della anzianità ( per merito acquisito!) . Sono proposte intrise di demagogismo.

Provo a spiegare il perché. – Precariato e organico di diritto: la Fenice che rinasce dalle proprie ceneri Personalmente ritengo che si debba essere soddisfatti per la recentissima decisione della Corte Europea, che ha sancito il diritto, sacrosanto, alla conferma sul “posto” di lavoro a chi ha “tirato la carretta”, ma, parafrasando il gergo garibaldino (Fatta l’Italia, è ora di fare gli italiani!), non abbia risolto il vero problema, perché non ha conferito, e non poteva farlo, a tutti coloro che ne beneficeranno il brevetto di qualità. Si rischia quindi di perpetuare lo stesso sistema che ha generato il “tumore” del precariato.

Chi sono infatti i precari? Sono la parte residuale, e paradossalmente la parte maggior, delle decine di migliaia di docenti che non hanno superato il concorso pubblico per l’accesso al ruolo ovvero che pur inserito nelle Graduatorie Permanenti non rientra nel contingente annuale che viene chiamato a coprire il cosiddetto organico di diritto. Concorso e Graduatorie permanenti, sono termini che nella loro accezione comune fanno immaginare un sistema garantista e trasparente, che seleziona le persone più adatte a svolgere la funzione docente e le manda in cattedra. Ma, in pratica ,si resta fuori ruolo perché esiste una distinzione tra organico di fatto ( i posti di insegnamento effettivamente esistenti all’inizio di ogni anno scolastico e organico di diritto (costituito attingendo in minima parte dai posti disponibili). A questa contraddizione ha posto rimedio la sentenza della Corte Europea, che consentirà la “stabilizzazione” degli insegnanti precari, che ad onor del vero, il governo, forse annusando una decisione simile, aveva programmato ancor prima di avviare la consultazione su la buona SCUOLA. La decisione fungerà da catalizzatore per la sostituzione dei due organici (di fatto e di diritto) con quello “funzionale”, da tempo rimasto nel guado della “non decisione” a causa della presunta eccessiva onerosità. Quindi il precariato è un problema che nasce da un difetto del sistema di reclutamento, e incide non poco nell’organizzazione del servizio, però non è il vero problema, che invece, a mio giudizio, sta nella cronica assenza di cultura dell’insegnamento, la cui valenza, che non esito a definire sacrale, non trova molti adepti fuori e dentro la Scuola,.

Di seguito provo a mettere in evidenziare alcune considerazioni, che sono la conseguenza di riflessioni fatte alla luce di anni di esperienze, e, perché no, di studio del problema, che attengono il sistema della formazione prima e della valutazione in servizio dopo, che ritengo fondamentali nella discussione sulla scuola da riformare.. -Il sistema Nazionale di Valutazione: guai al Merito! La qualità, a parole molto ricercata, riguarda sia l’insegnamento che il prodotto finale. Sono da sempre tra i sostenitori che in carenza di un Sistema generale dell’istruzione che derivi da analisi e diagnosi obiettive e dalle conseguenti necessarie scelte coraggiose, .il vigente sotto- sistema di valutazione della scuola rischia di trasformarsi in un elefantiaco strumento che si va sempre più avvitando su se stesso. INDIRE e INVALSI colonne portanti del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV), creati per migliorare la qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti, rischiano di trasformarsi in inutili carrozzoni. La normativa (Decreto legislativo 19 novembre 2004, n.286 ) affida all’INVALSI il compito di valutare l’efficienza e l’efficacia (quanta enfasi nell’ultimo decennio è stata usata per questi termini!) del sistema educativo di istruzione e formazione e di dare corpo alle “priorità strategiche” della valutazione del sistema educativo di istruzione, e lo pone come riferimento per le funzioni di coordinamento relative alla documentazione ed all’innovazione alla ricerca svolta dall’INDIRE. Ma pur godendo delle prerogative attribuite al SNV da un apposito regolamento (DPR 80/2013), si trovano ancora oggi di fronte al muro sindacal-qualunquista che continua a proporre le solite “pezze calde” per estirpare l’allergia al merito che serpeggia in una buona parte degli operatori scolastici, forgiati dall’intangibile formula dell’anzianità fa grado. In molti, direi troppi, pur consapevoli di essere all’altezza del compito di insegnanti, si ingenera la “paura” di non essere valutati per quello che realmente si è. Altri si oppongono alla valutazione per partito preso. La remora maggiore però, a mio parere, è quella di chi suppone, in termini di preparazione, studio e formazione, di aver ”già dato”.

Allora si tratta di stabilire, senza indugio, i passaggi necessari al superamento di paure e remore. -Il modello Ad un anno dalla emanazione del Regolamento del SNV si discute ancora sulla effettiva valenza delle indicazione dei criteri per assicurare l’autonomia del contingente ispettivo e per la valorizzazione del ruolo delle scuole nel processo di autovalutazione. Ispettori e scuole, che dovrebbero essere elementi portanti del sistema di valutazione della didattica, paradossalmente, si trovano nei panni di due tennisti che hanno a disposizione il campo e le racchette ma non sanno con quali regole giocare. Guai a parlare di valutazione del livello della formazione di un docente … “ho vinto un concorso, sono laureato e tanto basta!”. guai a pensare alla possibilità di verificare l’efficacia del lavoro (senza enfasi!) dell’insegnante, guai a provare a valutarne l’efficienza (senza enfasi!) ….il giudizio lo darà la ..vita. e guai a proporre il merito come fattore utile alla progressione economica della carriera. Ergo, detto con la sinteticità che è propria della lingua latina, VAE MERITO! Le regole per la valutazione del lavoro della scuola non possono prescindere da un postulato: Conoscere il modello di scuola che il Paese vuole!

Ma il Governo rappresenta il paese e deve scegliere il “suo” modello, a cui chi è deputato alla valutazione e all’autovalutazione deve poggiare la sua azione, cioè in metafora, quel faro che deve illumina l’intero sistema educativo. Questo dovrebbe essere costruito da chi ha esperienza, autorevolezza e competenza, visione prospettica ed autonomia di giudizio. Dieci anni or sono, dopo aver definito Letizia Moratti, da qualche anno ministro di turno, una signora ammodo, di solito cortese e quasi mai arrogante, sottolineò con un sarcasmo non troppo velato, che… “queste gli apparivano le sue qualità migliori” . E’ ovvio, aggiungeva, che tutto quel che dice è un risultato di un lavoro di gruppo, della collaborazione di esperti, non solo pedagogisti ma anche professori universitari con altre specializzazioni, “ più o meno scopertisi riformatori” . – Riformatori o Riformisti Questa non è una novità, ma è una costante che ha caratterizzato la scuola da quando si è provato a far subentrare una nuova riforma a quella di Giovanni Gentile. Ogni tentativo di riforma da Berlinguer in poi ha generato nuovi riformisti . Infatti i ministri cambiano e con loro i riformisti.

Oggi c’è la Giannini che prova a correggere la Gelmini, ed è sempre valida la costatazione sull’inefficacia del ruolo personale dei Ministri dell’Istruzione dello stesso Fabrizio Ravaglioli, sul quale tornerò in altra occasione per parlare dell’attualità del suo Riformismo alla deriva, quando affermava che “i turni elettorali sono le svolte delle vicende del “ dibattito” sulla scuola”. Forse per questo respinse al mittente la proposta di fare il Ministro della Pubblica istruzione. I riformatori , cioè i tecnici, che hanno letto dei libri e che partecipano a dei dibattiti, ma non hanno la vista acuta” si trasformano, inevitabilmente, in riformisti. I professionisti della cultura non hanno prodotto nulla che contenga un minimo di “sacrale, né tra loro si individua il demiurgo il portatore di grazia, il carismatico che un tempo sapeva incantare. Il minimo a cui personalmente penso è quello di introdurre tra le materie fondamentali in tutti i percorsi universitari lo studio della metodologia e della didattica della disciplina che si andrà ad insegnare, per eliminare ogni forma di trasmissione fredda e meccanica del sapere e dare centralità all’alunno come persona. Ciò vale soprattutto per ingegneri, matematici, architetti e avvocati, che insegnano discipline importanti, ma non ricevono nelle Università le indicazioni, sia pur minime appunto, sulla didattica delle discipline. Ecco perché, troppo spesso, il faro educativo, fatto di etica e di sensibilità umana, non brilla e la scuola, mentre si vanta di essere immersa nella globalizzazione economica, seguita ad essere soffocata dalla razionalizzazione e dalla burocrazia. Chi vorrebbe riformarla diventa possibilista e sperimentalista, adeguandosi, ai tempi come vuole la società aperta.

Questo è uno dei punti deboli, anche della proposta renziana su la buona SCUOLA , oltre che della politica grillina web centrica e qualunquista che ho la sensazione abbia condizionato l’ex sindaco di Firenze. -Il Faro della qualità: da grande voglio fare il Maestro!

L’esperienza, l’autorevolezza e la competenza sono i prerequisiti essenziali di un legislatore che, con visione prospettica ed autonomia di giudizio scrive la riforma che.. “s’ha da fare” . Ci vuole il vero legislatore. Quello di un Sistema della Formazione nella cui struttura trovi spazio chi, formato al rispetto della persona e delle sue prerogative, abbia acquisito i requisiti culturali e metodologici minimi per l’esercizio della professione docente, ma che sia proiettato, nel tempo, al raggiungimento di quelli massimi, attraverso il necessario aggiornamento e la formazione ricorrente. Poiché non possiamo immaginare di far resuscitare Gentile, che a detta dello stesso Ravaglioli, che lo ha approfondito non poco, farebbe (forse!) cose che sono inesorabilmente invecchiate, suggerisco a Renzi e Giannini di lasciar perdere le chiacchiere andare ad attingere nel pescosissimo mare della produzione pedagogica del professore romagnolo, per ricavarne l’energia pulita e “far balzare in alto il fantasma di un legislatore in grado di accendere una luce” (Ravaglioli 2005!). Allora, a prescindere dalla consultazione via Web, e forse nonostante essa, avranno ottime chances per divenire veri Legislatori.
In estrema sintesi mi piace pensare ad una riforma che, tra i suoi effetti, sortirà quello di far dire a tutti i bambini “da grande voglio fare il Maestro!!”. Sarebbe l’energia sicura per tenere sempre acceso il Faro dell’educazione.

E’ un utopia?  Chi l’ha detto.

Pierluigi Palmieri

29 dicembre 2014