Sanità e Diritto alla Salute

0
399

20 dicembre 2016

Osservatorio Sanità

Il diritto alla salute è riconosciuto come diritto fondamentale della persona dalla Costituzione della Repubblica che nell’art. 32 recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. D’altro canto, l’OMS definisce il concetto di salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non meramente l’assenza di malattia o infermità”.

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) equo, universalistico e solidale è una conquista sociale irrinunciabile la cui mission dovrebbe essere quella di garantire l’eguaglianza dei cittadini al diritto di salute e la loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi, vero ritorno degli investimenti in sanità, attraverso l’integrazione dell’ambito sanitario con quello sociale, ambientale ed educazionale. Produrre salute presuppone un sistema organizzativo che con azioni incisive sia in grado di affrontare la sempre più rapida trasformazione del panorama epidemiologico e sociale: la longevità crescente, l’aumento delle malattie croniche, gli stili di vita spesso inappropriati, la multiculturalità sempre più emergente, la comparsa di nuovi stati di povertà, la sempre maggiore fragilità dei nuclei familiari (quasi il 60% delle famiglie è formata da 1-2 componenti).

Gli elementi fondanti del SNN dovrebbero essere:

  • condivisione che l’obiettivo finale è l’erogazione di “salute” e non di servizi;
  • alleanza tra cittadini, professionisti e istituzioni che contribuiscono ciascuno per la sua parte all’uso corretto delle risorse in un sistema organizzato;
  • sviluppo degli obiettivi di salute secondo il modello piramidale (“piramide” di Kaiser) che considera alla base le azioni utili a mantenere il più a lungo possibile lo stato di salute, nella parte intermedia le azioni che contrastano le condizioni di fragilità e disagio, nel vertice il “prendersi cura” della condizione di malattia;
  • individuazione dei veri bisogni delle persone attraverso un’analisi rigorosa e standardizzata;
  • umanizzazione dell’assistenza “centrata” sulla persona anziché sulla malattia o sui servizi;
  • ridurre/evitare prestazioni ad alto rischio di inappropriatezzza tenendo conto delle evidenze scientifiche e del buon senso (Choosing Wisely);
  • valorizzazione ed integrazione delle risorse umane;
  • dinamicità, eliminazione della burocrazia e focalizzazione sulle attività che producono “salute”;
  • fare rete fra i settori coinvolti utilizzando tutte le energie del contesto territoriale in grado di ricomporre quelle relazioni fondamentali ed indispensabili a che la persona malata si senta all’interno di una comunità partecipe;
  • integrazione dell’assistenza ospedaliera con quella primaria e con quella sociale mediante Percorsi Assistenziali unitari articolati per livello di intensità di cure che consentano di individuare specifiche responsabilità: chi fa che cosa, come, dove e quando;
  • spinta continua verso il miglioramento con riferimento costante ai livelli di qualità e di sicurezza;
  • trasparenza nei processi di verifica dei risultati.

Se da un lato la sanità pubblica è un bene comune da tutelare, dall’altro deve esserne garantita anche la sostenibilità economica che allo stato attuale rischia di essere minata essenzialmente dal progressivo aumento della speranza di vita, dal costo crescente delle innovazioni e dal costante aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte di cittadini.

Paradossalmente, il problema della sostenibilità non è solo di natura finanziaria.

L’aumento delle risorse può addirittura peggiorare gli esiti di salute perché mentre i benefici che ne possono derivare crescono rapidamente nella fase iniziale per poi appiattirsi gradualmente, i rischi, invece, aumentano in maniera lineare.

Ulteriori risorse aggiuntive non consentirebbero comunque di risolvere alcune criticità insite nel sistema sanitario attuale:

  • estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e di prestazioni non allineata con l’eterogeneità clinica;
  • eccesso di medicalizzazione (over-diagnosi e over-trattamento);
  • sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato value;
  • incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione non medicalizzate;
  • sprechi.

In un lungo periodo di grave crisi economica come quello attuale, le migliori strategie atte a garantire la sostenibilità del SSN potrebbero essere individuate in:

Contenimento del definanziamento pubblico. Dal 2010 il finanziamento della sanità pubblica si è sostanzialmente appiattito.

Il DEF 2016 stabilisce che nel 2019 il finanziamento del SSN sarà ridotto al 6.5% del PIL e prevede che nel triennio 2017-2019 il PIL crescerà in media del 2,8% per anno mentre la spesa sanitaria aumenterà annualmente a un tasso medio dell’1,5%.

Se queste stime sono corrette, la spesa sanitaria crescerà meno del PIL nominale e non coprirà neppure l’aumento dei prezzi. Di conseguenza la sanità pubblica, a parità di potere di acquisto, disporrà delle stesse risorse solo se la ripresa economica del Paese raggiungerà previsioni più che ambiziose; in caso contrario, ulteriori tagli alla sanità pubblica saranno inevitabili.

Oggi in Italia, a seguito del continuo de finanziamento, la percentuale del PIL destinato alla spesa sanitaria (pubblica + privata) è inferiore a quella media dei paesi OCSE.

Utilizzo di altre fonti di finanziamento

E’ fondamentale rivedere e correggere il sistema di compartecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e delle esenzioni. Le Regioni mantengono tuttora un’ampia autonomia nella definizione dei sistemi di compartecipazione alla spesa che ha creato una vera e propria “giungla dei ticket” con notevoli differenze inter-regionali relative agli importi che i cittadini sono tenuti a corrispondere per i farmaci e le prestazioni nonchè alle regole utilizzate per definire le esenzioni (rapporto Agenas del 2015).

Nel 2015, secondo la Corte dei Conti, i tickets sui farmaci e sulle prestazioni sanitarie hanno fatto confluire nelle casse regionali oltre 2,8 miliardi di euro, con un incremento medio rispetto al 2014 della compartecipazione alla spesa per i farmaci del 4,5% e una riduzione media del 2,2% sulle prestazioni che raggiunge il 4,4% nelle Regioni in Piano di rientro. Ne risulta così un ampliamento ulteriore della forbice tra il contributo pro-capite per la specialistica e il pronto soccorso.

L’azione di correzione dovrebbe garantire un gettito finanziario adeguato per le Regioni all’insegna di un’unitarietà del sistema ed evitare contemporaneamente che tickets troppo elevati, in particolare per la specialistica, favoriscano lo spostamento verso strutture private.

Per le Regioni sottoposte ai Piani di rientro dai deficit sanitari, il mancato raggiungimento degli obiettivi comporta l’incremento sia dell’aliquota IRAP (0.15%) che dell’addizionale IRPEF (0.30%) con il conseguente aggravio della pressione fiscale su tutti i cittadini residenti, indipendentemente dallo scaglione di reddito.

Tale trend attesta la necessità da parte delle politiche fiscali regionali di attingere a risorse aggiuntive, in particolare dalle fasce di reddito medio-alto, in un periodo contrassegnato dalla riduzione del finanziamento del SSN.

Sanità integrativa

Nel 2014 la spesa privata in Italia ha raggiunto i 33 miliardi di euro (+2% rispetto al 2013) e la differenza sostanziale rispetto ad altri paesi europei è che l’82% è out-of-pocket, con una spesa pro-capite di oltre € 500/anno (dati OCSE).

A norma del DL 502/92 la sanità integrativa collettiva ed individuale (fondi integrativi e polizze assicurative) è considerata come secondo pilastro per sostenere la sanità del nostro Paese con lo scopo di coprire esclusivamente prestazioni non essenziali senza essere concorrente del SSN. Ciò non è accaduto perché il mercato privato si è rivelato più dinamico e vario nell’offerta e molte volte concorrenziale per tariffe e tempi di accesso.

Sarà indispensabile ripensare il sistema della sanità integrativa per reperire risorse da essa senza compromettere il modello di un SSN pubblico anche al fine di ridurre la spesa out-of- pocket e la percentuale di cittadini che oggi rinunciano alle cure.

Ad esempio, alcune Regioni del centro-nord si sono dimostrate sensibili alle proposte delle assicurazioni private ed hanno iniziato a sperimentare la copertura di prestazioni previste dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

Riduzione degli sprechi

La riduzione degli sprechi non può prescindere dalla riqualificazione della spesa sanitaria che, come peraltro già previsto dal Patto per la salute 2014-2016, dovrebbe consistere in un processo virtuoso di disinvestimento da sprechi e inefficienze con riallocazione delle risorse nei servizi essenziali e nell’innovazione. Merita a tal proposito sottolineare che tutte le attività che non migliorano lo stato di salute generano automaticamente sprechi, anche se la loro esistenza può essere motivata da nobili intenti (occupazione, qualità percepita, etc.), e risorse aggiuntive impiegate in questo tipo di attività finirebbero per alimentare ulteriori sprechi.

Aumento del value dell’assistenza

Un moderno sistema sanitario dovrebbe avere come riferimenti culturali e gestionali l’efficacia, la medicina basata sulle prove di evidenza (EBM), il rapporto costo/efficacia, la qualità e la sicurezza. La sua cifra dovrebbe perciò essere rappresentata dal value, definito da M. Porter (Harvard Business School, Boston) come il ritorno in termini di salute delle risorse investite in sanità e risultante dal rapporto tra rilevanti outcomes di salute (esiti favorevoli – effetti avversi) e costi sostenuti. Il value può essere stimato sia a livello di un intero percorso assistenziale sia a livello di un singolo intervento sanitario (farmaco, intervento chirurgico, etc.) sia a livello di tempo/uomo mediante strumenti quali l’Health Technology Assessment ed il Value-based pricing.

Analisi scientifiche documentano invece che, a tutti i livelli dell’assistenza, vi è il sopra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriate e dal basso value e allo stesso tempo vi è il sotto-utilizzo di interventi sanitari efficaci, appropriati e dall’alto value.

Un’azione correttiva ed incisiva potrebbe essere quella di allineare i criteri di appropriatezza organizzativa e professionale ai LEA che dovrebbero identificare all’interno di ciascun livello e sottolivello di assistenza la gamma dei servizi necessari per rispondere in maniera appropriata e costo-efficace ai reali bisogni di salute e definire in maniera analitica sia le prestazioni sanitarie da includere (liste positive) sia soprattutto quelle da escludere (liste negative).

Allineamento della domanda con la capacità di risposta

I ritardi e le attese rappresentano una delle principali criticità delle organizzazioni sanitarie sia dal punto di vista assistenziale che finanziario e la causa primaria è dovuta al disallineamento tra la domanda e la capacità di risposta.

In genere la capacità di erogare prestazioni presenta una variabilità superiore a quella della domanda generando attese, ritardi e sprechi. Per tendere ad un sostanziale riequilibrio si dovrebbe agire da un lato sulla riduzione della domanda non necessaria e dall’altro sull’ottimizzazione della capacità di risposta, in modo da utilizzare le risorse disponibili con la massima efficienza. In altri termini, l’intero sistema dovrebbe condividere le stesse logiche e criteri coerenti di appropriatezza per l’accesso alle prestazioni mediante:

  • analisi dei flussi di domanda per poter adeguare in maniera flessibile la capacità di risposta in relazione all’andamento della domanda stessa;
  • riduzione dell’inappropriatezza clinica ed organizzativa promuovendo una maggiore integrazione tra i diversi ambiti professionali ed in particolare tra l’ambito clinico e quello diagnostico. La promozione dell’uso corretto delle risorse richiede di concentrare l’attenzione sui principali determinanti dell’appropriatezza e sui sistemi di valutazione e monitoraggio per consentire l’attuazione di programmi di miglioramento specifici e mirati;
  • miglioramento della capacità di risposta intervenendo ad ogni passaggio del processo e rimuovendo gli ostacoli al suo scorrimento;
  • “governo” della rete dell’offerta sia pubblica che privata definendo piani di produzione che individuino con certezza chi fa cosa.

20/12/2016